venerdì 29 luglio 2016

tempo di vacanza



C’era una volta il tempo, proprio quello delle vacanze, O semplicemente “a bella staggione” come si dice a Napoli. L’estate è la regina delle stagioni perché il clima permette di cazzeggiare, perché la gente viene invasa da uno strano senso di euforia. E perché siamo più belli con l’abbronzatura grazie al potere del sole. Ma l’estate piace soprattutto perché, nell’immaginario collettivo, agosto è il mese delle ferie.

Ma ha ancora senso parlare di tempo delle vacanze? Certo almeno il mese di agosto dominato da ritmi più lenti a cospetto di giorni assolati, sarà vissuto, per chi può nell’antico dilemma della scelta tra mare o montagna. È un dilemma lasciato a pochi, e non solo per motivi economici.

Staccare la spina è un termine di uso comune per indicare la necessità di un periodo di riposo, ma oggi nessuna espressione come questa coglie nel segno, riguardo al rapporto con la vacanza assimilata a una connessione che viene temporaneamente a mancare.

Nella società globalizzata si è di fronte alla più grave delle colpe. O forse a un peccato di matrice laica e, proprio per questo imperdonabile. Nessuna forma di misericordia sembra infatti essere prevista per inadempienza di tale genere.

Sarà per questo che per molti c’è l’affanno a correre ai ripari, nonostante tempi e possibilità non sono certo quelli di una volta, quelli della stagione delle vacche grasse. Nonostante tutto  in tanti non esitano a spendere più delle loro reali possibilità pur di assicurarsi vacanze spesso fagocitate dalla rincorsa delle apparenze e bruciate dalla ricerca spasmodica del divertimento a tutti i costi. Per chi potrà permettersele, le vacanze saranno a misura della crisi, salvo i ricconi che non hanno problemi di spesa, o gli irresponsabili, che si lanceranno ancora una volta in scelte non corrispondenti ai loro mezzi reali.

giovedì 28 luglio 2016

Il folle, diverso da chi?



Questo è uno dei miti più popolari: lo psicologo cura i matti. Spesso  mi è capitato, di incontrare persone che si vergognano di far sapere che vanno da uno psicologo. Uno dei timori più ricorrenti su cui si basa questo pregiudizio è la paura di farsi vedere oltrepassare la porta dello studio. Si perché ancora oggi ammettere di recarsi da uno psicologo implica un ammissione di colpa  del proprio equilibrio psichico.

Hieronymus Bosch, L'estrazione della pietradella follia, c. 1488-1516.
Sia ben chiaro che la mia nono vuol essere una  “lectio magistralis” di psicopatologia, anche perché non sarei la persona più idonea a farlo, ma un modo semplice per riflettere in senso auto-critico.  Operazione questa raramente riscontrabile in tante menti (in)sane, che tanto, troppo spesso, fa difetto alla persona comune troppo sicura di sé, troppo ancorata al proprio “buon senso”, troppo “confortata”  da pseudoverità e soprattutto da pseudocertezze di cui si nutre.

La psichiatria ha identificato correttamente il folle, il pazzo, in altre parole, è stato definito come la persona che non è padrona di sé (ma attenzione: neppure il nevrotico, neppure il cosiddetto “sano di mente” sono del tutto padroni di sé...). Il perfetto “sano” dal punto di vista psicologico, probabilmente non esiste...

Oggi, dopo millenni di confuse rappresentazioni sociali sulla follia, abbiamo un’attendibile versione fornita dalla neurologia e dalle neuroscienze, che la malattia mentale esiste. E’ un fatto innegabile che essa esista. Ma quello che non è cambiato è  il giudizio su di essa. Giudizio che spesso è “pregiudizio”: quindi, giudizio anticipato, quasi sempre giudizio negativo, soprattutto culturale, con tutta una serie di condizionamenti.

Quello su cui bisogna riflettere non è tanto la malattia  “in sé” quanto sulle reazioni prodotte da chi asserisce  che  questa malattia non ce l’ha. Quindi più che parlare del malato voglio concentrarmi sulle emozioni che inquietano e sconvolgono la persona normale di fronte alla anormalità. Paura, angoscia,  e terrore sono giustificate quale difesa dal pericolo di essere “travolti dal malato di mente”. Ma la giustificazione è povera… e ricca di preconcetti.  Talvolta la pazzia risulta tale proprio a causa del comportamento “folle” (metaforicamente folle) di chi è oggettivamente “sano” ma talmente ignorante (proprio nel senso di “persona che ignora) da risultare pericoloso agli altri, agli altri etichettati come “estranei”. 

Il pregiudizio talvolta non resta solo un pensiero, ma diventa azione: dallo sguardo si passa al comportamento e da qui stigmatizzazione, emarginazione, isolamento.“Mors tua vita mea”: questo è il movente psicologico che agisce all’interno della persona sana. E qui abbiamo un enorme paradosso: la persona sana, per difendersi dai propri fantasmi di follia, dà vita ad altri fantasmi, sicuramente meno gravi per se stessa, ma potenzialmente assai lesivi dell’Altro, e questi meccanismi sono essi stessi patologici, sia pure di piccola patologia. Per farla breve, la persona sana, nel giudicare lo psicotico, si rivela un nevrotico.

Ma allora che cos’è la diversità? Che cos’è la devianza? La risposta sembrerebbe facile: “essere fuori dalla norma”. Ma quale norma? E qui le cose si complicano. Le cose del mondo sono soggette ad interpretazione. Tutto è tremendamente relativo! Inoltre, quasi tutto dipende da chi giudica (e non da chi viene giudicato).

Che dire, cosa suggerire in conclusione.  Risulta decisamente arduo classificare il cosiddetto “folle”, sia nella sua diversità (da chi? se i sani tanto sani non lo sono...) sia nella sua devianza (da cosa? se  la normalità è così mutevole...). Forse la soluzione minimale risiede in quanto segue: il profano dovrebbe (finalmente) imparare ad inibire la facile propensione allo stigma e lasciare allo specialista la facoltà di fare diagnosi, perché il folle altro non chiede che di venir “riconosciuto”. 

Il pregiudizio e lo stigma sono gravi fatti psicologici: possono far male, possono persino togliere la vita. Pertanto, si tratta, di capire sino in fondo il senso di: “Ne uccide più la parola che la spada” e “Le parole sono pietre”. A proposito di pietre:  l’artistica ironia Hieronymus Bosch dipinge un opera: La pietra della follia. Forse anche ognuno di noi dovrebbe farsi estrarre dal proprio cranio non tanto la “pietra della follia” quanto la “pietra del pregiudizio sulla follia”