mercoledì 18 maggio 2016

La felicità non è socializzabile.



Oggi giorno, in molti sono convinti che la solitudine sia sinonimo  di infelicità. Ma non c’è nulla di più sbagliato. Se non vi fa stare male, soprattutto quella che si prova quando, almeno in apparenza, soli non si è.  La solitudine è anche una opportunità per conoscersi meglio.

La maggior parte della gente vive in una sorta di socializzazione coatta, siamo tutti costretti a frequentare altri nostri simili, e se per qualsiasi ragione uno preferisce restare da solo, ecco che sorgono i primi allarmismi.  Come se fosse un sintomo di una pericolosa involuzione e preludio di chissà quale alienazione mentale.

Ecco allora che ci siamo inventati la figura dell’animatore, che ha il compito di stanare tutti coloro che cercano in qualche modo di sfuggire all’orrida socializzazione, costringendoli a unirsi al gruppo. Oggi i sociologi credono o meglio pensano, che le persone debbano fisiologicamente aggregarsi, identificando la solitudine come un problema contemporaneo più sentito, e probabilmente lo è.

Non tutti potranno condividere il mio pensiero, ma la solitudine è, spesso frutto di una selezione, e dovrebbe essere triste essere obbligati a tessere relazioni pur di non rimanere soli.

Il voler isolarsi, non voler condividere, non è egoismo. Per molti è un momento di creatività, di nutrimento. E spesso questi momenti non possono essere compresi da chi non lo sta provando, e quindi non necessariamente condivisibile. Un contadino conosce bene quelle sensazioni, quando si trova a contatto con la nuda terra, o un fabbro quando forgia  magistralmente il ferro.


La felicità personale è di rado socializzabile …

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