lunedì 30 maggio 2016

La lumaca è un grande maestro zen



In questo post voglio porvi una riflessione libera  e senza pretese che vuole solo essere manifesto di filosofia di vita. Saranno i miei …anta che mi costringono a riflettere a fare un po’ di introspezione.

Mi piace guardare  senza malinconia e nostalgici ricordi ciò che mi circonda, capiamoci, io sto bene in questo corpo, lo spirito è saldo, ma fondamentalmente mi chiedo: dove sto andando? E soprattutto come ci sto arrivando?

Questi quesiti mi spiazzano, mi mettono agitazione. Su chi sono oggi non ho dubbi, ma quest’uomo domani che uomo sarà? Prima di tutto penso a ciò che non vorrò essere. Non voglio i piaceri Take away e gioie low cost. voglio vivere tutto fino in fondo, con calma, con lentezza, gustarlo con tutti i sensi, spirito compreso. Continuando con le mie farneticazioni al grido viva la lentezza, mi complimento con la lumaca.

Voi vi chiederete perché proprio la lumaca? La lumaca è un grande maestro zen. Non ha mai fretta, gode di quello che ha, molto semplicemente. Racchiude in sé la sintesi delle polarità sessuali, una fusione di maschile e femminile che chiunque dovrebbe potenziare interiormente, prima ancora di andare in cerca dell’anima gemella fuori di sé. La lentezza non è pigrizia, è attenzione e presenza. È propedeutica a qualsiasi pratica spirituale, di risveglio o di autorealizzazione che dir si voglia: non c’è testo a tema evoluzione personale che in qualche punto non tiri fuori l’aggettivo lentamente.  Nella lentezza c’è il gusto di assaporare la vita, di accorgersi dei dettagli, di vivere nel presente passo dopo passo. Nella lentezza non c’è paura, c’è fiducia e assennatezza e c’è attenzione, il principale veicolo catalizzatore di energia di cui possiamo disporre


mercoledì 18 maggio 2016

La felicità non è socializzabile.



Oggi giorno, in molti sono convinti che la solitudine sia sinonimo  di infelicità. Ma non c’è nulla di più sbagliato. Se non vi fa stare male, soprattutto quella che si prova quando, almeno in apparenza, soli non si è.  La solitudine è anche una opportunità per conoscersi meglio.

La maggior parte della gente vive in una sorta di socializzazione coatta, siamo tutti costretti a frequentare altri nostri simili, e se per qualsiasi ragione uno preferisce restare da solo, ecco che sorgono i primi allarmismi.  Come se fosse un sintomo di una pericolosa involuzione e preludio di chissà quale alienazione mentale.

Ecco allora che ci siamo inventati la figura dell’animatore, che ha il compito di stanare tutti coloro che cercano in qualche modo di sfuggire all’orrida socializzazione, costringendoli a unirsi al gruppo. Oggi i sociologi credono o meglio pensano, che le persone debbano fisiologicamente aggregarsi, identificando la solitudine come un problema contemporaneo più sentito, e probabilmente lo è.

Non tutti potranno condividere il mio pensiero, ma la solitudine è, spesso frutto di una selezione, e dovrebbe essere triste essere obbligati a tessere relazioni pur di non rimanere soli.

Il voler isolarsi, non voler condividere, non è egoismo. Per molti è un momento di creatività, di nutrimento. E spesso questi momenti non possono essere compresi da chi non lo sta provando, e quindi non necessariamente condivisibile. Un contadino conosce bene quelle sensazioni, quando si trova a contatto con la nuda terra, o un fabbro quando forgia  magistralmente il ferro.


La felicità personale è di rado socializzabile …

venerdì 6 maggio 2016

ritrovare la frugalità




Nella matematica, la parabola, ha un punto oltre il quale il declino è inesorabile, irreversibile. Questa sembra anche l’attuale ideologia della società moderna. La crescita personale non è più in armonia con il rispetto della vita. L’importate è accumulare beni e ricchezze, la stessa natura e depredata in nome dell’abbondanza.  Ma come per le parabole matematiche, anche la nostra esistenza ha  inesorabilmente un punto X irreversibile.


Uscire quindi da questa società iconoclasta è dunque una necessita. Ritrovare la frugalità ci permetterà di ricostruire una società all’interno della quale ridurre le proprie dipendenze, e a creare valori d’uso comune non quantificabili. La crescita interpersonale è dunque la strada maestra, poiché si è meno soggetti alla propaganda compulsiva del desiderio. Ma abbiamo ancora i margini perché il delta sia ancora maggiore di zero?

giovedì 5 maggio 2016

i giocattoli, dispensatori di felicità



Cosa può generare felicità in un bambino? Un emozione, piccola o grande che sia è pur sempre un emozione. L’odierna cultura sociale, e ciò di cui parlo non si riferisce solo al ruolo di genitori, ma a tutto il complesso pedagogico, parte dal concetto che ai bambini fin dalla nascita bisogna dare e offrire regali. Perché solo così potranno essere felici.

Ed ecco che così la felicità per i bambini diventa un sentimento veicolato attraverso gli oggetti. Introducendo nell’educazione dei propri figli una pericolosa interpretazione della felicità. Secondo cui i sentimenti e le emozioni non sono esseri immateriali ma hanno un nome, un colore, una forma addirittura un prezzo. Così un negozio di giocattoli diventa un dispensatore di relazioni affettive.

Adesso a te che mi stai criticando, o mandando a quel paese, prova a farti una semplice domanda: è più facile abbracciare un bambino senza avere nulla da regalare, oppure creare un cortocircuito tale che ogni emozione espressa attraverso il corpo debba per forza anticipare l’offerta di un qualcosa di materiale?


Questa tendenza, così incongruente, trova le sue radici verso un comportamento sempre più spesso a facilitarci la vita in tutti i modi possibili. Purtroppo in tanti hanno dimenticato che la felicità non ha prezzo, e solo  per tutto il resto c’è “Mastercard”

mercoledì 4 maggio 2016

Lo stagista, il nuovo schiavo





Confrontandoci con il nostro tempo e la nostra società, è chiaro come negli ultimi anni, il mercato del lavoro è diventato sempre più cinico ed egoista.
Basta poco per rendersene conto, basta entrare in un qualsiasi ufficio professionale per imbattersi in tanti giovani che lavorano da stagisti o da  assistenti, senza percepire un solo euro. In barba al cosi detto Jobs Act e al lavoro sommerso.

Negli ultimi anni si è dato per scontato, che per diventare dei professionisti, oltre alla laurea con relativo esame di abilitazione, occorre trascorrere un periodo di tempo (avvolte anni) di apprendistato gratuito, nella speranza di ottenere un contratto rigorosamente a tempo determinato. Per molti giovani una tale attesa rappresenta già il raggiungimento di un obiettivo, accettando quel periodo di schiavitù come un asservimento necessario.

Tutto questo non riguarda solo gli studi professionali, ma anche una vasta gamma del mondo del lavoro, in genere è quello della formazione post-diploma. Dalle estetiste, ai parrucchieri, dall’idraulico all’elettricista, dagli studi grafici alle testate giornalistiche; c’è una terra di nessuno dove il riconoscimento minimo di un diritto è una chimera. Una realtà che si è diffusa proporzionalmente all’aggravarsi della crisi economica. Diminuendo i fatturati, cresce la tendenza di sfruttare in modo intenso soggetti a basso tasso esperienziale, disposti a qualsiasi compromesso pur di arricchire il curriculum.

Io non sono contro il lavoro gratuito, Il lavoro non remunerato non è per forza un male, ma attenzione, il lavoro gratuito inteso solo per scelta, per la visibilità, e non per necessità. D’estate quanti di voi hanno lavorato nelle strutture alberghiere, nei campi, o nei mercati, lo abbiamo fatto per scelta, non perché costretti. Ma a differenza dello stagista c’è una differenza: la retribuzione.

Venivamo pagati, poco, sicuramente. Ma quella è la fase in cui si ci fa le ossa, si fa la gavetta, e il tuo lavoro valeva poco. Però cera un impegno quotidiano che mi veniva riconosciuto. Oggi invece si fanno gli interessi delle aziende e invece di investire sui giovani, lo stato regolarizza la beneficenza alle aziende.

Oggi se il famigerato bamboccione, che secondo il Brunetta dovrebbero uscire di casa a 18 anni,  vuol lavorare, è costretto a farlo gratis, con la speranza che prima o poi venga assunto. E intanto si potrebbe chiedere alla Fornero che definì sfigati i laureati senza lavoro, se è disponibile ad offrire vitto e alloggio agli stagisti.


ma in che mondo viviamo, solitamente un’azienda dovrebbe investire sulla risorsa umana, magari con una minima retribuzione come rimborso spese, e una volta formato dovrebbe essere assunta, questo è un circolo virtuoso. Mentre da buon italiani il nostro è un circolo vizioso, non pagano e tra sei mesi cambiano stagista, come le lamette della barba “usa e getta”

lunedì 2 maggio 2016

25a festa della lumaca a Villastrada



La manifestazione più longeva di Villastrada, quest’anno si riveste di una particolare attenzione: sono venticinque anni,  dal lontano 1992, che viene riproposta. Dagli albori iniziali nella piazza del paese, ora al parco primo maggio in locali più accoglienti a ricevere un pubblico sempre più numeroso ed entusiasta.

la manifestazione è diventata motivo di orgoglio per la Proloco, che vi aspetta numerosi anche quest’anno nei  weekend 14/15 – 21/22 – 28/29 maggio e  mercoledì 1°giugno 2016.

A farla da padrone come sempre lo stand gastronomico che presenterà un ricco e variegato menù con piatti a base di lumache e tanto altro ancora.




http://www.prolocodivillastrada.com/

domenica 1 maggio 2016

C'Era una volta il Primo Maggio





Primo maggio, festa del lavoro? Sì, ma di quale lavoro? Non certo inteso come diritto sancito dalla Costituzione. Ovvero, il lavoro è stato considerato un valore che consente l'affermazione della personalità umana, e L'art. 4 dice che i cittadini hanno diritto al lavoro: e questa affermazione va intesa nel senso che lo Stato si deve impegnare a intervenire nel sistema economico per creare possibilità di lavoro per i cittadini; interventi di questo tipo sono perciò un obbligo per il nostro Stato.

Chi sta al Governo dimentica i problemi reali della gente e dimentica pure che non bastano le campagne mediatiche sul Jobs Act, in cui si ripete che quel provvedimento dà lavoro, quando invece il suo risultato si è rivelato alquanto esiguo e di sola convenienza per le aziende.

L’aumento mensile ha prodotto il prevedibile entusiasmo del presidente del Consiglio Renzi che su twitter si è esibito nell’ottimismo dispettoso di ordinanza: «I dati del lavoro? – ha scritto – Dimostrano che #jobsact funziona: #italiariparte grazie alle riforme e all’energia di lavoratori e imprenditori #segnopiù»

A marzo l’occupazione recupera ma, rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso, la variazione dell’occupazione è pressocché nulla. Il mercato del lavoro ristagna e, anzi, conferma l’andamento degli ultimi mesi, coerentemente con il piccolo e incerto cabotaggio del Pil. Il 2015 era stato considerato l’anno della svolta, l’anno dello strumento miracoloso, la lampada di Aladino il Jobs Act, peccato che a ridimensionare gli entusiasmi arrivano sempre i dati:


A marzo 2016 stima occupati +0,4% (+90 mila) su mese. 
Tasso di disoccupazione all’11,4% (-0,3 punti)
totale su base annua +0,1%


E giusto per essere chiari, per Eurostat la percentuale di occupati in Italia è la più bassa tra i 28 paesi dell’Unione, fatta esclusione per la Grecia. Quindi c’è poco da essere felici.

Non bisogna neanche dimenticare che il Jobs Act è giunto al capolinea, che succederà ora che gli incentivi andranno a diminuire? È stancante ed umiliante continuare a commentare questi numeri, senza far nulla a livello strutturale. Un malato cronico non va curato con somministrazioni di antibiotici … L’Italia riparte, ma il problema è verso dove!


Invece si continua la propaganda, come quando occorre comprare consensi in periodi preelettorali. Mentre il paese continua a sprofondare, il lavoro non esiste e i pensionati sopravvivono. la ripresa va stimolata in ben altri modi, iniziando dalla riduzione del costo del lavoro, ma con tagli veri non con promesse da marinaio …