venerdì 30 ottobre 2015

Francesca, 11 anni disabile e malata di Aids allontanata da scuola


Ennesima storia che mi lascia l’amaro in bocca, e che racchiude tantissime contraddizioni e che solleva tantissime domande, alle quali l’unica risposta è dire “Bocciamo” la scuola che emargina.

Questo post voglio dedicarlo a Francesca (non so se questo sia il suo vero nome o di fantasia che hanno scelto per la bambina) fatto sta che è dedicato a lei, che come tutti i suoi coetanei era pronta con lo zainetto sulle spalle per andare a scuola. 

Suo malgrado è stata vittima di violenza istituzionale perché di questo si è trattato. È palese la discriminazione perpetrata, e sicuramente non vede certo la scuola nel ruolo di “Buona”

La vicenda è nota a tutti, quanto è successo in una scuola del casertano, dove Francesca, bambina di 11 anni disabile e ammalata di Aids, è stata rifiutata da una scuola pubblica presso la quale era stata effettuata formale richiesta d’iscrizione, ed accettata dall’istituto, ma successivamente rifiutata dopo che il preside era venuto a conoscenza della gravità di salute di Francesca, suggerendo alla famiglia di frequentare la scuola a distanza. Un compromesso sicuramente al ribasso a quello che dovrebbe essere lo spirito stesso della scuola.

Non voglio e non sono nella condizione di dare giudizi, ma una cosa mi sento di dire: che il problema non è tanto di una normativa che tassativamente inglobi o no nella scuola tutti indistintamente, il problema purtroppo è di formazione del personale scolastico, impegnati in un massimalismo inconcludente  controproducente, e non in un sano e concreto senso “civico”.

Se anche la scuola, non riesce ad integrare persone diversamente abili, lasciandoli alla deriva quasi obbligati a rimanere rinserrati nelle loro abitazioni, in compagnia della loro solitudine,   inconsciamente stanno realizzando un’altra segregazione, ancor più subdola, perché non è cosciente del suo operato.

Allora la scuola davvero sta assolvendo ad un compito solo burocratico e d’istruzione nozionistica, senza alcuna prospettiva. Dando definitiva conferma che di “buona” non ha nulla.

giovedì 29 ottobre 2015

Mamma: "come siamo venuti al mondo?"


Mamma:  "come siamo venuti al mondo?"
Non  è raro, che ancora oggi, che ha visto e vede continue scoperte e invenzioni, dare risposte al limite del grottesco: ti ha portato la cicogna o ancor peggio sei nato sotto un cavolo

Vi è gente che, pur deplorando l’odierna prevaricazione sessuale, non riesce a convincersi della necessità e della   importanza di una  adeguata   educazione sessuale,  e quel che  è  peggio ritenere controproducente  e scandaloso  l’insegnamento su argomenti, fenomeni, misteri, che in realtà  non sono o debbono essere i tabù di una volta. Ma cose ben conosciute da tutti, fin dagli anni più teneri, per essere poi vissuti secondo i dettami della ragione.

Il sesso e la sessualità, non sono state create dal diavolo, come ritengono le anime pie e gli ipocriti, ma richiamando il libro della Genesi, dalla bontà divina che volle rendere gli uomini partecipi  della sua potenza creatrice.  “Tutte le cose che usciranno dalle mani di Dio, sono buone e perfette”  (Valde Bona) –terzo versetto del capitolo II della Genesi

Lasciando agli intellettuali e agli eruditi il compito di sbrigarsela da sé in questa delicata materia, questo post è dedicato alle persone semplici e, in special modo alle mamme che, pur buone e desiderose di cominciare e poi condurre un discorso di formazione sessuale, non sanno da dove cominciare e come parlare ai propri figli.

A questa cara categoria, che non dovrebbe mai morire, perché al mondo vi è una sola mamma, voglio dire che:  ai loro rispettivi figli, per dare riscontro alla loro domanda palese o tacita: “”MAMMA COME SIAMO VENUTI AL MONDO?””   il modo migliore per avviare i propri figli alla conoscenza della sessualità, è farlo in modo semplice e affettuosa quando sarà necessario far sapere loro sull’origine della vita, senza sottintesi, sena veli e senza prudenti menzogne; in modo tale da acquisire quella istruzione e formazione della quale essi hanno tremendamente bisogno.

martedì 27 ottobre 2015

Sei vergine? No sagittario


Le storie d’amore di oggi durano come le batterie degli smartphone, le amicizie come i contratti a tempo determinato e la felicità quanto la pausa aziendale.

Le persone per strada mi fanno sentire dannatamente solo,  di rado incontri qualche conoscente con cui conversare. Per questo ho sempre preferito avere pochi amici e tanti conoscenti, tante ragazze e un solo amore.

Oggi per molti l’amore è una convezione sociale, se non ti fidanzi non sei alla moda, va tutto dannatamente di fretta, e se ti fermi a prendere fiato la vita prosegue da sola.

Rivoglio il mio Nokia 8110, rivoglio gli amici, quelli che se non ti vedevano  in piazza, venivano sotto casa a chiamarti. Non voglio essere nostalgico, perché sarebbe falso se ammettessi che i social network non mi piacciono. Ti fanno sentire più in contatto con le persone, diminuiscono le distanze, ma non mi piace come siamo diventati, abbiamo sostituito le conversazioni al bar con le chat, i messaggi d’amore sui muri con i post in bacheca, gli eccessi con gli accessi.

Oggi va tutto di fretta, gli adolescenti perdono la verginità come capita con gli accendini nelle mani dei fumatori distratti, ricordo che, anche a me quando chiedevano se ero vergine rispondevo “no sono del sagittario”





La cosa più infantile che ho fatto, è stato crescere



La cosa più infantile che mi è capitato di fare, è stato crescere. Vero il tempo passa e le cose cambiano, perché le motivazioni sono diverse. Ma se è vero che nel cuore di chi sa perseverare il tempo non passa mai, vorrei tanto sorridere, come quando in tele scorreva la pubblicità della Coca-Cola, è  pensavo: Vincè manca poco al Natale.

Da ragazzo scorrazzavo per le strade con la bicicletta a raccogliere lattine per la strada, perché potessi venderle e guadagnare e comprarmi le figurine della “panini”, perché  per la mia generazione completare gli album dei calciatori era il massimo dell’aspirazione. Crescendo ho smesso di essere me stesso, cerchi di non andare oltre gli schemi, di restare in qualche modo ai margini per non farti coinvolgere dalla massa, perché essi giudicano con presunzione quello che fai e nessuno chiede “come mai?”

Cresci e non piangi più allo stesso modo, o meglio non puoi permetterti di piangere altrimenti risulteresti ridicolo agli occhi di chi pensa che l’adulto non deve piangere, allora ti isoli ti sfoghi, e ritorni tra la massa. Maturi e usi le parole che pesano di più, distruggi le cose belle prima ancora di averle godute, tendi la mano solo a chi porta la tua bandiera.

Ormai ci si è dimenticati che nella vita bisogna imparare a rinnovarsi, tenendo in considerazione tutti e tutto, filtrando ciò che recepiamo. In tanti mi dicevano che non si può amare dopo solo due mesi, ma mia madre mi ha amato dal primo secondo, gli amici mi mettevano in guardia sul mio amore a distanza perché due persone lontane non possono amarsi, ma non ci ho mai creduto perché l’amore non sta nel cuore ma nel rispetto. Mi hanno sempre detto che bisogna rispondere colpo su colpo, all’offesa rispondere con l’offesa, al torto con il torto, ma quanti di voi spengono il fuoco con il fuoco?

sabato 17 ottobre 2015

C’era una volta il lavoratore.


Una nuova forma di apartheid, una nuova carriera potenzialmente più rapida e spietata di quella dovuta un tempo alla differenza di razza e di classe, si sta sviluppando in modo  apparentemente indolore, ma non per questo meno iniquo e crudele, nella società di massa livellata e smussata, adeguata allo stereotipo, uniforme nei gusti e nei costumi di una malintesa società delle macchine.

Il confine sempre più ferreo tra chi è accecato od escluso dal mondo del lavoro, non in base a una valutazione reale di capacità ed efficienza, ma solo in nome di un criterio anagrafico, astrattamente concettivo.

Ormai la nostra società si è trasformata in una giungla dominata da una vegetazione parassitaria, artificialmente coltivata, dove una maggioranza sempre più cospicua di persone economicamente dipendenti, graverebbe su una minoranza di lavoratori sempre più esigua,  se il lavoro stesso non sarà articolato in base alla diversificazione dei ruoli, al di fuori di ogni rigido schematismo e preconcetto.

La società tecnologica ormai si è già evoluta verso nuove forme sempre più sottili e complesse di mansioni nella produzione dei beni e nell’esplicazione dei servizi, non si tratta solo di aggiornarsi a modelli rispondenti alle esigenze stesse della natura umana,  ma di tagliar via i rami secchi  di una concezione vetero-capitalista dello sviluppo industriale. Oggi c’è una sfera sempre pi vasta di bisogni fondamentali che la vecchia società industriale non è in grado di soddisfare con le sue strutture ossificate, che potrebbe offrire utili occasioni di lavoro a quanti, giovani o vecchi, sono esclusi dalla cintura burocratica della mappa occupazionale.

Basterebbe uscire dai congegni cieche di una macchina che rischia la paralisi per i processi burocratici degenerativi che ne inceppano il dinamismo, basterebbe defiscalizzare  gli investimenti in innovazione e formazione, creando un adeguato sistema di welfare della conoscenza a supporto della continuità professionale, in cui l’occupazione in quanto tale, cessi di essere vista come un privilegio, e diventi, quale può e deve essere, una partecipazione gioiosa alla vita comunitaria, una manifestazione primaria e indispensabile dell’esistenza.

 Questa è l’impalcatura su cui costruire e senza la quale ogni jobs act, o come lo si voglia chiamare, rischia di rappresentare un mero esercizio di stile ed un’ennesima occasione persa.

venerdì 16 ottobre 2015

Fame di pane e di educazione, sete di dignità


Quanto cammino percorso da quel lontano 16 ottobre 1985, anno in cui i rappresentanti di quarantaquattro Paesi furono invitati a firmare l’atto costitutivo delle organizazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. 


Tutti siamo testimoni delle importanti realizzazioni compiute dalla FAO, la progressiva sua espansione, il suo costante dinamismo, l’arditezza delle sue vedute, la varietà e l’ampiezza delle sue azioni.

Ma nonostante il senso di fraternità universale, che sono i moventi delle sue iniziative, non riescono a tenere il passo  con le sfide dei nostri tempi: a man mano che gli sforzi aumentano, la popolazione mondiale si moltiplica,  e la miseria si accresce. E mentre un piccolo numero di uomini è colmo di risorse incessantemente crescenti, una parte sempre più considerevole continua ad avere fame di pane e di educazione ed avere sete di dignità.

Una utilizzazione più razionale delle risorse, uno sfruttamento meglio concepito delle terre e delle acque, delle foreste e degli oceani, una migliore produttività delle culture, della pesca e dell’allevamento, fornirebbero certamente derrate di maggiore qualità e in maggior quantità. Ma come sappiamo i bisogni sono aumentati, sotto la doppia pressione di una ascesa demografica assai rapida e di un consumo la cui curva segue la progressione delle entrate.

Quindi sembra quasi indiscutibile, che il miglioramento della fertilità del suolo, lo sforzo di selezionare cereali ad alto rendimento, lo sfruttamento dei mari e dei fiumi, sembrano richiamare la previsione del vecchio profeta dell’epoca rurale:  “il deserto rifiorirà” 

martedì 13 ottobre 2015

1947 - 2015 la fine del bicameralismo


Era prevedibile che prima o poi, grazie alla  nostra “ingegneria istituzionale”, si arrivasse a sciogliere il nodo del bicameralismo perfetto, così com’era prevedibile che fosse la sinistra a voler sbancare il lunario, grazie alle sue migliori tradizioni Giacobine.

Vale innanzitutto la pena ricordare che, l’assetto bicamerale di oggi è il frutto di un accordo coatto tra la “DC”, che era favorevole ad un assemblea costituita da professori e maestri, e la Sinistra che riteneva quelle formule di dubbio carattere democratico. Il risultato fu la nascita della Camera e del Senato, che si distinguevano  unicamente per l’età degli elettori, e come già ampiamente ci hanno dimostrato sono sostanzialmente uno il doppione dell’altra.

La causa dei nostri mali sono due articoli: l’art. 138  della Costituzione che è la prima tessera del domino, quella che, se cade, cadono tutte le altre di seguito. Sostanzialmente l’articolo decreta le procedure di modifica della Carta costituzionale. Dunque, modificarlo significherebbe aprire la pista alle tanto discusse riforme. E  poi c’è l’art. 139, l’ultimo della nostra Costituzione, e fra i più brevi, ma è anche il più perentorio. Si riconduce al primo , e ne rafforza l’iniziale affermazione. L’Italia è una Repubblica ….. affermava il primo; la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale conferma l’ultimo.

Che sul piano dei sommi principi, il problema esiste, sarebbe onestamente impossibile negarlo, la Repubblica essendo democratica è fondata sulla sovranità popolare, però il nostro bicameralismo non può essere una giustificazione razionale. A ciò si aggiunge che, Camera e Senato concorrono all’esplicazione delle stesse funzioni.

Queste duplicazioni è non solo inutile, ma anche nociva, basta pensare all’assurda procedura che ogni nuovo Presidente del Consiglio (fatta eccezione per gli ultimi tre) deve fare in entrambi i rami del parlamento, e del doppio dibattito della fiducia, oppure ai lunghi patteggiamenti per il bicamerale, o infine al rimbalzare tra Montecitorio e Palazzo Madama, di leggi già approvate in una sede, vengono poi modificate, spesso ubbidendo  ad esigenze clientelari, o a veri e propri colpi di mano.

Inoltre c’è da tener presente, forse il punto più importante, e cioè una riforma di questo genere, permetterebbe di ridurre notevolmente  il numero dei rappresentanti del popolo. Riduzione che, oltre a risolvere una situazione anacronistica, farebbe risparmiare un bel po’ “euri”. Credo che ce n’è abbastanza  perché l’idea  del doppione, inutile ed ingombrante, debba cessare. 

La soluzione adottata sembra essere il modello Tedesco, dove la nuova assemblea  sarà costituita non più dai  315  senatori di oggi, ma da un gruppo di 100 personaggi politici così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica. Palazzo Madama avrà molti meno poteri e verrà superato il bicameralismo: innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di "funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", che poi sarebbero regioni e comuni. Potere di voto vero e proprio invece il Senato lo conserverà solo riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati internazionali.

Con questo non voglio certo negare che esiste anche una crisi più vasta del sistema parlamentare, ma è inutile spostare il discorso su un piano più generalizzato, fino a quando non si fa tutto il possibile per eliminare  le incongruenze e i difetti che sono davanti agli occhi di tutti.


lunedì 12 ottobre 2015

incongruenze di una morale di Stato


Ha lo stato, attraverso i suoi organi legislativi e giuridici, la capacità di garantire e rafforzare la moralità dei cittadini?


 Questa domanda è sullo sfondo di molte questioni che oggi si dibattono, l’intervento dello Stato, nella forma di nuove leggi più restrittive è spesso invocata come rimedio decisivo contro il dilagare della “immoralità”. 

Questo oggi avviene soprattutto nel campo della morale sessuale, che secondo i più puritani, appare seriamente minacciata nei suoi valori tradizionali. Si invocano provvedimenti contro il dilagare della prostituzione, dell’omosessualità, della fornicazione.

In realtà, sul rapporto tra diritto e morale, tutte le legislazioni dimostrano gravi incongruenze, se lo Stato fosse  il paladino della morale dovrebbe condannare tutti i sette peccati capitali (lussuria, accidia, superbia, ira, invidia, avarizia e gola), che sono anch’essi gravi difetti anche dal punto di vista di un’etica laica.

Il rapporto sessuale tra marito e moglie, che non è immorale, lo diventa se esso viene consumato in pubblico con relativa condanna di atti osceni in luogo pubblico.  L’omosessualità tra adulti, che non è reato se praticata in modo consenziente,  viene invece considerata una pratica immorale, ne tanto meno risulta reato la convivenza tra due persone di sesso diverso, ma agli occhi dei più che ritengono il sacro vincolo di matrimonio sacro e indissolubile, diventa un azione immorale.

Come già detto prima, se lo Stato fosse il paladino della moralità, dovrebbe considerare immorale, e quindi reato, ogni azione difforme al comune sentimento cristiano. E il primo fra tutti dovrebbe essere la critica, pubblica o privata, di ciò che sia etico o no.
Che cosa può fare allora lo Stato per garantire la moralità? Secondo una logica,  potrebbe prevedere e colpire soltanto il danno che l’azione infligge ad altri individui, può tramite le sue strutture costituire un sistema di difesa per chiunque sia vittima di ingiustizia, di violenza, di frode. Ma dove non c’è vittima e non c’è offensore lo Stato non può intervenire per salvare una qualsiasi tavola di valori morali. Il dovere dello Stato deve essere semplicemente quello di contrastare le azioni debitamente accertate,  che possano ledere altre persone.

Quindi tutte le pratiche sessuali, se consenziente, non possono essere considerato immorale, e quindi punibile o ancor più grave non godere degli stessi diritti di chi secondo una propria etica, definisce questa pratica immorale. 

La questiono non potrà certo essere risolta con la forza o con la maggioranza dei voti, deve rimanere in una società libera, continuamente aperta alla critica e alla discussione, la pace, la benevolenza, il rispetto reciproco, l’uguaglianza di diritti e doveri, sono valori che non possono essere imposti con la coazione, perché, la Violenza morale o fisica, nega la libertà d’azione (sempre nei limiti imposti dalla legge).


Lo Stato può solamente eliminare gli ostacoli, che spesso ha opposto, alla loro realizzazione. Leggi troppo restrittive in materia morale, non farebbero, specie in una società in trasformazione, che moltiplicare i reati senza alcun beneficio per la morale autentica.

sabato 10 ottobre 2015

Il livellamento degli animi


 La grande massa, livellata nel tenore di vita, nella comodità di cui gode, nei bisogni e nei gusti da una produzione sempre più standardizzata e da una reclame sempre più meccanizzata, viene anche  poi livellata nei sentimenti, nelle opinioni, nelle idee da stampa, radio, cinema e televisione. 

E questo livellamento degli animi è assai più grave che il livellamento delle condizioni economiche e delle forme di vita.

Stampa, radio, cinema e televisione che potrebbero essere potentissimi mezzi di formazione culturale e di elevazione umana e spirituale, tendono a rinunciare al loro compito, se non addirittura a tradirlo, per diventare puri strumenti di svago.
Vogliono risparmiare agli utenti ogni livellamento degli animi e, nelle nella reciproca concorrenza, sotto lo schermo di una mal conclamata libertà artistica, finiscono con andare in cerca di quanto può saziare la più vacua curiosità, e sollecitare gli istinti più immediati e più incontrollati. Ecco che allora i giornali si riempiono di illustrazioni; la radio rovescia canzoni e musiche che sono, troppo spesso, stimoli fisiologici più che opere musicali; gli spettacoli cinematografici e televisivi surrogano il giudizio della coscienza.


Ormai, questi elementi che dovrebbero essere fonte d’ispirazione e di informazione, sono di fatto, gli irresponsabili educatori delle masse. Neanche la scuola resa accessibile a tutti, è complice di tale deficienze, frequentata com’è da una popolazione sovente troppo estranea agli interessi culturali, perché la maggior parte di essa la cultura appare come una necessità da subirsi per arrivare a una meta concreta.